Dentro le classi

Giovani in classe
di Marcello Amoruso, Miriam Mesi

Il corso di lingua che sarà qui presentato vuole offrire una testimonianza positiva dell’incontro tra minori stranieri non accompagnati (da ora in poi msna), studenti universitari del progetto Erasmus, dottorandi e giovani che prendevano parte a progetti europei di mobilità finalizzati a tirocini di formazione al lavoro presso associazioni di volontariato di Palermo.
A corredo delle poche pagine che comporranno questo intervento saranno mostrate alcune foto, le quali contribuiranno a fornire una ulteriore prova dei risultati positivi di un incontro tra profili di studenti così diversi.
Testo e foto fanno riferimento a un corso di 40 ore semi-intensivo di livello principianti, tenuto tra gennaio e febbraio 2015, della durata di un mese circa.
Un corso di livello A1 iniziale, dunque, secondo i descrittori che troviamo all’interno del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER), sebbene gli stessi descrittori non intercettino la specificità del profilo rappresentato dai msna, segnato da una bassa scolarizzazione: ci riferiamo nello specifico alla disomogeneità tra le competenze linguistiche relative ai testi scritti e ai testi orali. Se nel QCER, tali abilità progrediscono in modo lineare e uniforme, cosicché è possibile collocare uno studente al livello A1, A2, ecc. – cioè i progressi relativamente ai testi orali vanno di pari passo con quelli relativi ai testi scritti – non si può dire lo stesso per gli studenti a bassa scolarizzazione, cioè studenti che hanno sviluppato una certa capacità di gestione dei testi orali, ma hanno avuto poche occasioni per cimentarsi con la costruzione e decifrazione di testi scritti, con quello che ne consegue in termini di capacità di riflettere sugli elementi chiave che caratterizzano l’unità testuale e, a un livello più microscopico, con l’abilità di ragionare sugli elementi morfosintattici (rispettivamente meta-testo e meta-lingua). Tale precisazione è servita a noi per avere chiari quali fossero i punti di forza su cui fare leva per sviluppare l’interlingua di questi studenti e, crediamo, possa essere utile a chi legge per orientare non solo un’adeguata comprensione delle scelte didattiche di cui si parlerà più avanti, ma anche per comprendere a fondo che la decisione di collocare tale classe nella generica etichetta ‘livello principianti’ era una scelta di comodo, inadeguata però a restituire la diversificazione delle abilità che componevano l’interlingua degli studenti msna: collocabili in un punto intermedio del livello A1 relativamente a comprensione e produzione orale; poco identificabili, invece, relativamente al QCER per quanto riguarda comprensione e produzione del testo scritto.
Non leggevamo tale eterogeneità in termini negativi, come problema a cui porre rimedio, piuttosto cercavamo di cogliere gli elementi di contatto tra il profilo ad alta scolarizzazione rappresentato dagli studenti universitari e il profilo a bassa scolarità rappresentato dai msna, a partire dalle scelte fatte a monte nel momento della formazione delle classi: collocare in una classe di ‘livello principianti’ studenti con un livello più alto rispetto all’oralità ma più basso relativamente all’abilità scrittoria, priva (rispetto ai compagni di classe ad alta scolarità) di anni e anni di esercizio con la composizione e decifrazione di testi e tipologie testuali.
A confortare le scelte che avevano guidato la composizione della classe, e cioè mettere insieme interlingue eterogenee tra di loro e diversificate al loro interno (come era il caso dei msna) non c’era una letteratura di riferimento, e certamente il Sillabo della Lo Duca (Lo Duca, 2006) a cui tutti gli insegnanti della Scuola fanno riferimento per la programmazione delle attività, non fornisce suggerimenti mirati per profili di studenti così differenziati. A indicarci di proseguire in tali scelte due elementi: innanzitutto il principio che punta a creare occasione di incontro per favorire l’integrazione, la conoscenza dell’altro; in secondo luogo dati di natura didattica forniti dalle numerose esperienze maturate lungo i tre anni precedenti di attività di classe in cui erano compresenti soggetti ad alta e bassa scolarizzazione.

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Cosa hanno in comune una ragazza cinese e un ragazzo africano?
di Monica Rizzo

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La scelta dell’inclusione ‘senza se e senza ma’ si traduce dal punto di vista didattico nella formazione di classi che accolgono studenti assai diversi gli uni dagli altri, in particolare anche minori stranieri non accompagnati poco e recentemente alfabetizzati, all’interno di un contesto studentesco contraddistinto da un alto livello di istruzione, pur nella consapevolezza delle innumerevoli difficoltà che tale modello didattico comporta. Il presente contributo racconta, a distanza di tempo, proprio una delle tante esperienze di accoglienza e di inclusione di questi ragazzi all’interno di uno dei corsi di lingua erogati dalla Scuola. È un esperimento positivo sia per l’impatto che la didattica ha avuto sulla socializzazione e sull’instaurazione di legami di amicizia fra due gruppi di studenti – giovani minori non accompagnati e giovani studenti cinesi – apparentemente molto distanti, ma concretamente accomunati da molte qualità, sia dal punto di vista didattico che da quello umano. La positività delle relazioni sociali instaurate in classe ha infatti con tutta probabilità influito non solo sull’efficacia delle attività proposte, ma soprattutto sul processo di integrazione fra i due gruppi di studenti, anche fuori dall’aula.

La classe in oggetto era formata da cinque studenti cinesi e da tre minori stranieri non accompagnati. Gli studenti cinesi – Lisa, Korin, Cristina, Melissa e Minko – facevano parte del progetto Marco Polo e, come previsto dal progetto, frequentavano corsi di lingua italiana propedeutici al raggiungimento di un livello di competenza B1 necessario per l’iscrizione presso un’università italiana. Gli studenti sinofoni, dell’età di diciotto anni, provenivano da diverse parti della Cina ed erano arrivati in Italia nella condizione di principianti assoluti nella conoscenza della lingua italiana. Tutti avevano studiato l’inglese durante gli anni scolastici, ma nessuno di loro ne possedeva una competenza elevata. Al momento della formazione della classe, a marzo 2014, gli studenti sinofoni si trovavano in Italia da poco più di un mese e, dopo la frequenza di un corso intensivo molto variegato dal punto di vista della composizione della classe e di un corso dedicato esclusivamente a loro, avevano raggiunto un livello di competenza A1, seppur deficitario in alcune abilità, in particolare nella produzione e ricezione orale.
Dopo il primo corso intensivo, molto utile per un iniziale contatto con la lingua e sul piano delle relazioni sociali che i ragazzi cinesi avevano cominciato ad instaurare con studenti di altre nazionalità, il corso monolingue e “mononazionalità” li aveva resi svogliati, addirittura pigri e desiderosi di ricominciare a studiare l’italiano in un contesto classe più ampio e motivante che li mettesse di nuovo a confronto con studenti diversi. Gli studenti cinesi, o meglio “le ragazze più Minko”, come avevo l’abitudine di chiamarli scherzando sulla composizione prettamente femminile della classe, erano arrivati a Palermo pieni di entusiasmo e voglia di conoscere nuovi luoghi e nuove persone, erano tutti appena diciottenni, e come
tutti i giovani alle prese con una nuova esperienza, andavano seguiti nello studio e supportati nella frequenza, nell’assiduità e nella motivazione necessarie per l’apprendimento di una nuova lingua, tra l’altro così distante dalla loro. Il disagio nella (e per la) classe monolingue, il calo della motivazione, la voglia di confrontarsi con altri studenti erano diventati lampanti e, tra l’altro, ci si era resi conto che la soluzione era a portata di mano: in quello stesso periodo degli altri ragazzi avevano appena concluso un percorso creato ad hoc per loro e andavano adesso inseriti in una nuova classe per proseguire lo studio della lingua.

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«Rosso come il cuore».
Il metodo Asinitas e i nostri studenti speciali
di Chiara Piraneo

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Cuore. Correva l’anno 2011. In un giorno qualunque d’autunno, lungo il tragitto che mi avrebbe portato in via Policastro a Roma verso la scuola di Asinitas, immagino con la mente di disegnare un grande cuore rosso su un cartoncino nero. La C di Chiara è anche la C di cuore, parola a cui si associa il significato del mio cuore che al risveglio tende ad essere silenzioso, colmo solo della quiete regalata dalla notte. Al primo contatto mattutino con il mondo esterno, il mio cuore comincia a palpitare, giacché il mattino ha l’oro in bocca. Essendo a conoscenza del programma della lezione di italiano odierna, penso che mi sarebbe piaciuto condividere questa breve riflessione, in parole semplici, con le donne migranti che frequentano la scuola. Nonostante il cielo grigio e i volti grigi dei viandanti in metro, espressione del lunedì come del giorno più triste della settimana, avverto la sensazione piacevole di chi comincerà una nuova esperienza che ha appositamente scelto di fare. In quel giorno mi viene impartita la prima lezione, su un argomento che mi avrebbe accompagnato lungo le successive esperienze formative: l’imprevisto. Durante le ore scolastiche accade infatti che Liza, una studente di origine bengalese, avverte un leggero malore ed Alessandra, referente e insegnante della scuola, per solidarietà sviene, nonostante la nobile intenzione di soccorrerla. Capisco. Niente cuore, niente significato. Studenti, volontarie e maestre ci stringiamo tutte a sostenerle e iniziamo a raccontare delle storie: storie di migrazione.

Presentazione
Mi chiamo Chiara, sono italiana e abito a Palermo. Mi piace il colore azzurro e il mare. È il 2 luglio 2013, primo giorno di scuola. Gli studenti osservano i miei gesti e ascoltano le mie parole per coglierne il significato, in attesa di un segno che li inviti a parlare. Il bisogno di comprendere e al tempo stesso di produrre suoni uditi durante il soggiorno in Italia appena iniziato, si tramuta in curiosità ad avvicinarsi
alla lingua italiana, tanto ricca e melodica quanto complessa. Perciò ho deciso di fare della semplicità il criterio attraverso il quale proporre le attività didattiche e rispondere ad eventuali imprevisti nel corso delle lezioni scolastiche.
L’esperienza che ho cominciato a tracciare, e che continuerò a narrare in questa sede, è quella del primo corso di Alfabetizzazione della Summer School proposta dalla Scuola di Lingua Italiana per Stranieri ai minori stranieri non accompagnati. Sin dal primo giorno emergono alcuni elementi di quello che si intende definire metodo Asinitas o, altresì, metodo utilizzato ad Asinitas, il quale mira all’apprendimento
della lingua prediligendo la narrazione come veicolo di comunicazione tra l’insegnante e lo studente. Tra le definizioni di narrazione riporto la seguente: «L’atto di narrare è un modo di riportare al tempo presente ciò che è assente – ciò che non c’è più – e in questo rappresenta la forma più elementare di memoria. Ogni volta che cerchiamo di riportare al presente della coscienza qualcosa del passato, la ricreiamo, la ricostruiamo, attraverso il linguaggio e attraverso una narrazione. È la narrazione del passato che impone agli eventi ricordati un inizio, una data. Sono il tempo e lo spazio della narrazione attuale che imprimono ai ricordi una temporalità, diacronica e sincronica, una coerenza di significato» (R. Lorenzetti, S. Stame 2004, p. VII). L’atto del narrare, come ogni atto comunicativo, non è altro che una relazione che implica la reciprocità tra chi parla e chi ascolta. Si giunge così a comprendere il pensiero asinitasiano che, a partire dalla mia esperienza di tirocinio presso l’Associazione Asinitas Onlus, ho potuto sviluppare nel corso delle personali esperienze come docente di lingua italiana e in quelle inerenti al contesto scolastico pubblico. Esso consiste essenzialmente nel concedere allo studente uno spazio entro cui raccontarsi, cioè nel dare voce alla propria soggettività e richiedere attenzione per quello che dice e per come lo dice. A ciò si aggiungono i gesti che «danno una forma visiva ai contenuti delle rappresentazioni mentali» (R. Lorenzetti, S. Stame 2004, p. 140) e che possono manifestarsi tramite l’uso del corpo.
Raccontarsi non vuol dire semplicemente esprimere informazioni personali, ma attribuire valore alla lingua, alla cultura, alla geografia del paese di provenienza che contribuiscono a creare l’identità della persona. Per questo, insieme ai minori stranieri non accompagnati, ho intrapreso il corso partendo dalla categoria del nome per studiare l’alfabeto e imparare a scrivere e a leggere i propri dati anagrafici, e lavorato con i colori per descrivere le proprie origini e la natura che ci accompagna in ogni luogo.

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I testi e le foto del blog sono tratti dal libro  “Dai barconi all’università – Percorsi di inclusione linguistica per minori stranieri non accompagnati” a cura di Marcello Amoruso, Mari D’Agostino, Yousif Latif Jaralla edito dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri – Università di Palermo.

La foto di copertina e tutte le altre all’interno del volume sono state scattate da Antonio Gervasi dall’autunno del 2012 alla primavera del 2015 all’interno del percorso di inclusione linguistica a cui è dedicato questo volume.

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