Il mio tirocinio

Il ruolo dei tutor

di Marco Valerio Bonazzi

L’idea di attribuire un ruolo di supporto ai tirocinanti dell’Università di Palermo all’interno del progetto rivolto ai minori stranieri non accompagnati si lega a due diverse esperienze di tirocinio guidato coordinate dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri negli anni passati. La prima è quella riportata nel volume Imparare con gli alunni stranieri (D’Agostino, Amoruso 2009), in cui si illustra il coinvolgimento in qualità di facilitatori linguistici di alcuni studenti del corso di Laurea in “Traduzione, italiano L2 e interculturalità” all’interno di scuole pubbliche primarie e secondarie di Palermo. La seconda è quella relativa all’attività di tutoraggio che a partire dal 2008 è entrata a regime nei corsi intensivi Summer School e Winter School organizzati dalla Scuola. In queste occasioni decine di studenti dei corsi di Laurea in “Traduzione, italiano L2 e interculturalità” e in “Lingue e letterature moderne e mediazione linguistica”, opportunamente formati e guidati da docenti esperti, hanno offerto il proprio contributo nell’accogliere e assistere sotto molteplici punti di vista centinaia di studenti stranieri che hanno trascorso nella città di Palermo un periodo di vacanza-studio. Facendo dunque affidamento sugli incoraggianti risultati ottenuti nelle suddette esperienze, si è pensato che i tirocinanti potessero giocare un ruolo attivo anche nel favorire l’inserimento dei minori nelle classi ordinarie, cioè quelle in cui sarebbero stati accanto ad alunni di età e scolarizzazione più elevate. In questo senso, il ruolo dei tirocinanti è stato declinato secondo quattro linee di intervento:
1) osservare, motivare e fornire report alla Scuola sul coinvolgimento dei minori nelle attività didattiche ed extra-didattiche;
2) fornire attività di rinforzo linguistico attraverso interventi legati alla programmazione degli insegnanti; 3) facilitare il rapporto con gli altri studenti stranieri durante i laboratori pomeridiani finalizzati  alla scoperta del territorio e soprattutto durante i momenti ricreativi serali, quando la tensione didattica è del tutto assente e l’incontro quindi tra minori e universitari può essere vissuto su un piano esclusivamente umano;
4) supportare i minori nell’ambito di project work mirati, pensati e strutturati sulla base di bisogni specifici.
È il caso di precisare che il ruolo degli studenti universitari, nell’ambito di un’organizzazione così strutturata, è stato definito in due differenti maniere. Nel caso in cui la partecipazione alle attività si fosse limitata ad azioni meramente osservative, abbiamo parlato di ‘tirocinanti’; viceversa, se l’azione degli studenti fosse stata più attiva, legata cioè a mansioni di orientamento all’interno della Scuola e della città, si è ricorso al termine di ‘tutor’. Per comodità, però, in questa sede entrambi i termini vengono usati indistintamente per riferirsi più in generale a studenti che, al di là delle specifiche mansioni svolte, sono stati accolti all’interno della Scuola con l’obiettivo di confrontarsi con esperienze totalmente nuove.

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Una didattica per project work nelle comunità dei minori
di Adriana Arcuri, Egle Mocciaro, Adele Pellitteri

Nel percorso formativo del Master di II livello in Teoria, progettazione e didattica dell’italiano come lingua seconda e straniera, attivo da alcuni anni all’Università di Palermo ed erogato in collaborazione con la Scuola di Lingua italiana per Stranieri, una parte cospicua e qualificante è riservata al tirocinio, che interagisce strettamente e si intreccia con gli altri poli del piano formativo: la didattica da una par te e, dall’altra, il “Modulo Tessuto”, un metapercorso che consente ai corsisti di connettere tutti i fili della formazione, appunto per formare un tessuto, così da rendere ciascun apprendente protagonista della costruzione del proprio, personale, profilo formativo (vedi per questo Arcuri e Mocciaro 2014).
Durante il tirocinio, quando gli studenti, attraverso una progressiva conquista di autonomia professionale, hanno già acquisito alcune competenze glottodidattiche e linguistiche e, soprattutto, si sono consolidati nella competenza riflessiva, si colloca l’esperienza del project work.
Nel corso del 2014 gli studenti del Master hanno realizzato una parte del tirocinio con i minori stranieri non accompagnati (d’ora in poi msna), sia in classe come docenti, sia attraverso la conduzione dei project work, che per la prima volta si sperimentava secondo queste modalità.
Questa scelta configura una situazione formativa inedita e molto ricca di spunti di riflessione, perché gli studenti del Master hanno realizzato il proprio project work – come docenti in apprendimento – af fiancando i msna nella realizzazione – come apprendenti della lingua italiana – del loro project work. Scopo di queste pagine è descrivere quali apprendimenti professionali sono scaturiti dal percorso formativo e quali effetti questa modalità didattica ha avuto sui minori. Dopo avere brevemente analizzato la metodologia del project work, si delineerà la ratio dell’inserimento del project work nell’economia dell’offerta formativa del Master. Di seguito, con il titolo Le esperienze di project work nelle comunità di accoglienza, sono state inserite le riflessioni a cura di alcuni corsisti del Master (ormai diplomati) sul percorso formativo realizzato nelle comunità che accolgono i minori.
Va subito detto che, seppure la fase di studio che porterà a regime questa modalità di intervento per rispondere alle esigenze specifiche dei msna non sia ancora terminata, il contributo del Master nei confronti del progetto complessivo dedicato ai minori ha già permesso di definire un profilo formativo specifico, quello di docente di italiano come lingua seconda a minori stranieri non accompagnati, a cui proprio nel 2014 è stato attribuito l’importante riconoscimento del “Label europeo delle lingue”, assegnato ogni anno ai progetti più innovativi della formazione linguistica.

Il project work nel Master

La scelta di inserire il project work in un percorso di apprendimento di base dell’italiano per msna nasce dalla condivisione dell’ipotesi che la realtà stessa sia uno strumento di apprendimento, anche se certamente non in antitesi con l’apprendimento guidato. Questa decisione si rivela adeguata alle esigenze dei msna anzitutto per le loro caratteristiche di utenza fragile e scarsamente scolarizzata e per l’urgenza dei loro bisogni di vita quotidiana (come si vedrà nelle pagine che seguono a cura dei corsisti, infatti, le attività realizzate sono servite per agevolare i msna nella gestione di esigenze legate all’esperienza della migrazione), oltre che per l’efficacia dell’uso della lingua come strumento di azione sociale ai fini dell’acquisizione stessa della lingua.
Vale la pena soffermarsi su quest’ultimo aspetto. L’impiego strumentale della lingua target, che come abbiamo visto costituisce una caratteristica fondante del metodo, segna condizioni di apprendimento profondamente diverse da quelle che si danno in un corso normale. La lingua – in questo caso l’italiano – non è, infatti, un obiettivo in sé, ma il mezzo per raggiungere un altro obiettivo, che non è (almeno in superficie) di natura linguistica. Potremmo dire che, nel project work, la pratica della lingua si presenti quasi come un materiale di risulta o, comunque, un effetto secondario del processo di interazione, indispensabile all’ottenimento di un certo risultato. Questo modello di lavoro fa del project work un contesto di apprendimento assai simile a quelli in cui l’acquisizione si produce in modo autenticamente spontaneo, in cui cioè la lingua è null’altro che uno strumento di interazione sociale. Va da sé che questa somiglianza ha limiti importanti, che stanno nel controllo esercitato dagli altri attori del progetto, in modo non appariscente ma sostanziale, sulla lingua che si prevede emerga o che in effetti emerge nel corso del lavoro (cfr. 2). Ma ciò che è rilevante è che l’attenzione consapevole degli apprendenti rimanga del tutto defocalizzata dagli obiettivi linguistici e, dunque, l’apprendimento mantenga quel carattere d’implicitezza tipico dell’acquisizione spontanea, il quale garantisce un’interiorizzazione delle strutture linguistiche esercitate più profonda (sebbene forse non più rapida) di quanto avvenga in un contesto di istruzione esplicita. È appena il caso di ricordare che questa differenza si trova codificata in letteratura nell’opposizione terminologica acquisizione (implicita) vs. apprendimento (esplicito), formulata originariamente da Krashen (1981, p. 1) per sostenere che «error correction and explicit teaching of rules are not relevant to language acquisition». Pur senza aderire in modo completo all’ipotesi krasheniana e riconoscendo, piuttosto, il ruolo fondamentale che l’istruzione esplicita e la riflessione sulla lingua possono giocare, date condizioni didattiche adeguate, nel facilitare e nel rendere più veloce il processo acquisizionale, è indubbio che le caratteristiche contestuali del project work si mostrino particolarmente efficaci specialmente con alunni che, come i minori, hanno un’esperienza minima se non nulla del contesto didattico tradizionale.
Il project work è, inoltre, una preziosa occasione di sperimentazione di cittadinanza, tanto più necessaria se si pensa alla delicatezza della posizione dei minori, che in molti casi non hanno ricevuto alcun tipo di educazione formale e provengono molto spesso da società organizzate in modo assai diverso dalla nostra, nella quale hanno bisogno di inserirsi.
Il percorso di tirocinio dei corsisti del Master ha seguito, specularmente, il percorso di apprendimento dell’italiano da parte dei msna, dei quali i corsisti sono stati, come si è detto, docenti d’aula (affiancati da docenti esperti e dai supervisori) e “compagni” nell’avventura del project work.
Si è trattato pertanto di un project work “a matrioska”, o per meglio dire di un project work per “Giano Bifronte”, secondo la metodologia privilegiata nel Master, che utilizza la particolare posizione dei docenti in apprendimento, contemporaneamente quindi maestri e allievi, come un osservatorio privilegiato per esplorare la relazione didattica dal punto di vista di entrambi gli attori coinvolti. La scelta di guardare, come la divinità romana a due facce, in due direzioni, nel nostro caso i due poli dell’interazione insegnamento-apprendimento, si inserisce nel progetto che fonda il Master, secondo cui, come abbiamo detto sopra, le componenti del piano formativo – didattica, tirocinio e Modulo Tessuto – stanno fra loro in relazione inscindibile.

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I testi e le foto del blog sono tratti dal libro  “Dai barconi all’università – Percorsi di inclusione linguistica per minori stranieri non accompagnati” a cura di Marcello Amoruso, Mari D’Agostino, Yousif Latif Jaralla edito dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri – Università di Palermo.

La foto di copertina e tutte le altre all’interno del volume sono state scattate da Antonio Gervasi dall’autunno del 2012 alla primavera del 2015 all’interno del percorso di inclusione linguistica a cui è dedicato questo volume.

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